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C’è una parola molto usata (e abusata) nel mondo del vino: cru. Grand cru, premier cru, cru borgeois, cru di qua, cru di lá..insomma, una vera cru…deltà per chi non è abituato alle terminologie del vino! Il termine è così gonfiato che oggi sentiamo parlare di cru anche per birra, cioccolato o caffè, il che ha confuso ancora di più le poche idee chiare sul concetto. Diventa quindi cru…ciale cercare di capirci qualcosa, ma non vi cru…cciate, ci pensiamo noi di Vinopoly a fare chiarezza sul punto!

Una definizione generale sarebbe: terreno considerato dal punto di vista dei suoi prodotti e dalle qualità che gli stessi possono estrarre da esso . Cioè, semplificando: un terreno considerato in rapporto alla qualità del suo prodotto.

Mentre, nel linguaggio enologico, si tratta fondamentalmente di un’area delimitata per la produzione esclusiva di un vino; nel senso più stretto, è la vigna che fa parte di quella determinata area in grado di produrre vini di qualità particolarmente pregiata.

La parola cru, come molte parole importanti del vino, è francese, ma l’origine non è ben definita: molti credono che sia il participio passato del verbo croître (crescere), mentre altri sostengono che si tratti del verbo croire (credere) . In effetti, le due versioni sembrano plausibili, perché un grande vino ha bisogno di un’attenta crescita delle viti, ma il produttore ha bisogno anche di crederci, e scommettere, che quella vigna sia davvero la migliore.

Quale che sia l’origine, la parola è usata in modo informale da produttori praticamente di tutto il mondo per indicare il loro miglior vigneto, ma in realtà solo la Francia ha definito una classificazione ufficiale utilizzabile in etichetta in base alla qualità dei cru. Ma perfino per i francesi rimane un concetto confuso, con regole molto diverse da regione a regione (prossimamente ne riparleremo modo più dettagliato ).

L’unico timido tentativo di fare qualcosa di simile è stato fatto in Italia, dove esiste il Comitato Grandi Cru d’Italia , fondato nel 2005 da 39 prestigiosi produttori italiani, ma si tratta di un’associazione spontanea tra cantine che non è riconosciuta da alcuna entità governativa, pertanto il termine non può essere utilizzato in etichetta.

Esiste anche una classificazione dei “Grand Cru” d’Italia elaborata da una casa d’aste , la Gelardini & Romani Wine Auction: la distinzione e (relativa categorizzazione) è fatta per le etichette più richieste dai collezionisti e dagli investitori di tutto il mondo, sulla base dei prezzi più elevati e della minore disponibilità. Ma anche qui nessuna ufficialità.

Nonostante se ne parli da anni, la legislazione italiana non sembra avere alcun interesse ad un tipo di classificazione di tipo piramidale che avvantaggi i migliori terroir, e quindi per il momento continueremo ad avere riconosciute solo le denominazioni di origine, che, lo ricordiamo, non dicono molto in merito alla qualità.

Prossimamente, “su questi schermi”, torneremo a parlare di Cru, di denominazioni, e di come capire la qualità di un vino dall’etichetta. Stay tuned!