E’ divertente ripensare ai molti passi del progresso del genere umano compiuti grazie a scoperte fatte per caso o meglio per errore e di quanto il settore enologico sia ricco di esempi del genere, basti pensare allo champagne che non voleva smetterla di rifermentare in bottiglia…

L’Amarone della Valpolicella che è uno dei portabandiera più prestigiosi della nostra produzione vinicola non sfugge alla regola del caso, o dell’errore, se vogliamo.

In Veneto, e particolarmente nella Valpolicella si produce vino sin dal tempo degli antichi romani, ma com’è risaputo il vino che ne veniva fuori all’epoca era un vino dolce, ben diverso dai vini secchi di oggi. Era tradizione delle famiglie produrre il Recioto, un prestigioso e complesso vino dolce e liquoroso: gli “enologi” del tempo sceglievano i grappoli migliori e di essi la migliore parte, le recie, le orecchie, dove gli acini sono più nutriti e quindi più ricchi di zuccheri. Il punto cardine era la fermentazione, breve e delicata, controllata in modo maniacale ogni giorno, ascoltando il ribollire del mosto per non perdere il momento giusto per bloccarla esponendo le botti al freddo invernale. Si otteneva così un vino molto dolce, ma di estremo equilibrio grazie all’elevata acidità di base. Le rese molto basse ne facevano un prodotto di nicchia: era il vino della Pasqua, augurio per le puerpere, medicina per i malati, omaggio ai potenti.

Capitava però, non di rado, che per qualche motivo la fermentazione non si bloccasse al momento giusto e continuasse, dando come risultato “purtroppo” un vino secco: quello che oggi è l’Amarone, ancora oggi chiamato in dialetto “Recioto scapà” (recioto sfuggito al controllo). Questa non era una bella sorpresa per chi lo faceva anzi era un danno e fino agli anni Quaranta questi vini “sfortunati” venivano venduti addirittura a un prezzo più basso del Valpolicella base!

Bisogna aspettare il 1950 per avere la prima bottiglia “ufficiale” di Amarone. La nascita di questo vino non poteva che essere legata ad una leggenda, ma questa volta la leggenda ha addirittura un nome ed un cognome, anzi due. Si narra che Adelino Lucchese il capo della Cantina Sociale della Volpicella assaggiando il vino di una botte di recioto dimenticata in un angolo della cantina da qualche anno esclamò: “questo vino non è amaro, è un amarone”. Immediatamente lo fece assaggiare a Gaetano Dall’Ora, all’epoca presidente della cooperativa. Gaetano portò il calice di questo sconosciuto vino al naso e subito dopo lo assaggiò. La scoperta fu sorprendente. Genialmente ispirato e inebriato da tanti profumi e sapori, il presidente ribadì “Questa volta l’hai proprio indovinato! Questo non è un amaro, è un amarone! Signore e Signori, diamo il benvenuto a un Re”.

Al di là delle leggende e delle frasi ad effetto quello che resta è un grande vino italiano che viene prodotto in più di 15 milioni di bottiglie l’anno e viene venduto ed apprezzarto in tutto il mondo.

“Errare è umano ma perseverare è diabolico”? Non sempre. In questo caso l’errore combinato alla perseveranza ha dato vita ad un grande capolavoro dell’enologia italiana.

E allora brindiamo alla capacità di convertire gli errori in successo con un bel calice di Amarone!

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